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Gilbert Durand: Dal radicamento all’influenza irradiante

Gilbert Durand De l’enracinement au rayonnement
Textes réunis par Arlette Chemin et Pascal Bouvier
Université Savoie Mont Blanc, LLSeti, Chambery 2015, pgg. 370

L’imaginaire durandien, enracinements et envols en terre d’Amérique
Raimond Laprée, Christian R. Bellehumeur
Presses de l’université Laval 2013, pgg. 288

Il volume Gilbert Durand De l’enracinement au rayonnement raccoglie i contributi del primo incontro di studi (27-28 giugno 2014) dell’A.A.G.D. (Association des Amis de Gilbert Durand) dopo la scomparsa di Gilbert Durand. Studiosi di varie discipline giunti da ogni parte del mondo hanno reso omaggio alla memoria del maestro e testimoniato la profonda influenza della sua geniale personalità su più generazioni di ricercatori e universitari.

Il colloquio si è svolto al Priorato di Bourget du Lac, storico edificio della Savoia, terra a cui Durand è rimasto fedele fino alla morte e dalla quale ha irradiato il suo pensiero in tutto il mondo. Forte anche il legame tra Gilbert Durand e l’Univerità di Savoia Mont-blanc di cui è stato cofondatore e che ha fatto vivere con la forza del suo talento e del suo carisma: nel suo seno è nato il primo Centro di Ricerche dell’Immaginario che ha avuto sviluppo e diffusione internazionale. Il genius loci di Bourget du Lac ha evocato un’altra atmosfera incantata, quella della villetta sul lago di Ascona in Svizzera dove si svolgevano gli incontri di Eranos, culla delle più alte espressioni della cultura del XX sec. A questi incontri aveva partecipato per più di un ventennio G. Durand stringendo fedeli e feconde amicizie e portando il contiributo fondante delle sue ricerche nate in quell’atmosfera transdisciplinare, di profonda amicalità e apertura spirituale.

EnracinementGilbert Durand si staglia quale figura di intellettuale impegnato in ogni campo, nella vita politica (nel senso etimologico di vita della polis, consesso di uomini liberi) come nella ricerca filosofico-scientifica, nella letteratura e nell’arte per difendere l’essenza stessa dell’uomo, la libertà immaginale e creatrice. I molteplici campi nei quali si avventurò la sua ricerca convergono nellanuova antropologia di cui fu iniziatore, mosso da un’attenzione all’uomo nella sua interezza, secondo il detto di Terenzio homo sum, humani nihil a me alienum puto. L’apertura alle tradizioni sapienziali, la frequentazione dell’oriente, il continuo dialogo con matematici, fisici, scienziati (René Thom, Stephane Lupasco, Basarab Nicolescu) lo hanno portato a una rivoluzione epistemologica basata sulla trandisciplinarità. Studioso di grande rigore utilizzò una metodologia non riduttiva e preferì alla linearità dei processi di causa-effetto i percorsi analogici che lo porteranno a confrontarsi con la totalità del cosmo nella sua diversità dinamica fondandosi sul principio della non-dualità e del tertium datur. Si oppose ad ogni forma di riduttivismo scientista che avrebbe portato alla morte dell’uomo svuotandolo della sua essenza creativa e della capacità immaginale (termine mutuato dal suo amico H. Corbin) perché, come ha scritto in Science de l’homme et tradition non può esserci antropologia nel disincanto. Con grande amarezza constatava che proprio l’Occidente aveva subito una serie di processi di disincanto a cominciare dal momento in cui la Chiesa Cattolica aveva favorito la coscienza mitica dell’Europa latino germanica e anglosassone e respinto la mitologia dell’antichità classica. Quindi era giunto il disincanto del progressismo borghese nato dal secolo dei lumi che aveva dato spazio alle mitologie titanesche dell’Illuminismo e dell’Impero presto sommerse dal vissuto di guerre atroci. E infine il disincanto delle utopie edeniche dei collettivismi e della grande esperienza socialista dell’Est occidentale sfociata a sua volta in imperialismo tecnocratico. In questo generale clima di ‘disincanto’ la nuova antropologia di Durand si è posta il compito di ritrovare il valore del tessuto culturale dei popoli, dei costumi, dei riti, di riscoprire la lezione delle leggende, dei miti, delle tradizioni religiose. La figura archetipale di Hermes, il Trimegisto, divino messaggero tra il mondo superno, quello degli uomini e quello infero, protettore degli scambi, mediatore tra vicino e lontano diviene il simbolo di tale modalità di ricerca.

I contributi del Colloquio, riuniti da Arlette Chemin Degrange e Pascal Bouvier sono stati raggruppati in tre parti.

La prima parte «Testimonianze» si apre con Savoir dire non, la testimonianza dello stesso Gilbert Durand pronunciata nel 2001 in occasione della cerimonia in cui gli fu conferita la Medaglia di Giusto tra le Nazioni (cf. Gilbert Durand e la mitodologia, ebook www.atopon.it) per aver salvato giovanissimo la vita di numerosi ebrei negli anni più bui della seconda guerra mondiale al prezzo di una dura prigionia e della condanna a morte evitata grazie all’audacia dei suoi compagni di lotta nella resistenza. Nel suo discorso di accettazione dell’onorificenza egli ha ribadito il senso di tutta la sua vita: Saper dire no ad ogni nichilismo, ad ogni barbarie, da qualunque parte si affacci, che tenti di annullare la dignità e il senso dell’esistenza umana. Ma allo stesso tempo ha affermato di credere che la salda volontà di pochi possa salvare nei tempi più bui, la cultura e il mondo.

Segue il delicato e intenso ricordo del padre nel poemetto della giovane figlia Maria-Ying Durand e la testimonianza di Chao-Ying Durand (Gilbert Durand au château de Novery) che ci presenta lo studioso nell’antico maniero del XVI° secolo, il ‘buen retiro’ degli ultimi trent’anni della sua lunga vita dove, circondato dalle quiete silente delle montagne savoiarde, studiava, scriveva, riceveva amici e discepoli che giungevano da tutte le parti del mondo e che indirizzava e aiutava nel loro lavoro e infine si dedicava alla pittura. Di prossima pubblicazione il catalogo dell’esposizione « L’Aurore dans le crépuscule » (Chambéry gennaio 2015) che ha raccolto le immagini di paesaggi della Savoia, nate dalla gioia di dipingere che è gioia di vivere. Possono essere viste come autoritratti, ha scritto Jean-Clarence Lambert, e appartengono al regno immaginale, immagini immaginate e immaginanti,create dall’oculus cordis come dall’oculus carnis.

Sull’onda di indimenticabili ricordi anche l’intervento di Y. Tarah Hassanein (direttore dell’Università El Miniah, Egitto) che rivisita l’incontro con G. D. a Nizza in occasione del Colloquio «Eclissi e improvvise apparizioni delle costellazioni mitiche – Letterature e contesto culturale» e manifesta la fierezza di aver conosciuto l’aristocrazia dell’intelligenza umana e di aver appreso dal vivo, da un vero sapiente, modesto, caloroso, dallo sguardo potente e affascinante i concetti fondamentali sull’immagine e sul suo potere di fascino.

Fatima Gutierrez (Univer. Autonoma Barcelona) focalizza il suo intervento su due periodi significativi del magistero di G. D. coincidenti con le visite in Spagna, terra che amava e di cui comprendeva lo spirito. Il primo periodo è dedicato alla costruzione dell’imponente base teorica del suo pensiero: lo strutturalismo figurativo, il secondo quello della creazione della sua mitodologia basata su una mitocritica (lettura di un mito che ne evidenzia gli aspetti ridondanti, i mitemi) e mitoanalisi (studio dei miti dominanti o dei miti in tensione che caratterizzano un dato momento culturale). La ‘mitodologia’ ha dato origine a un vasto studio socioculturale che considerando opere rappresentative appartenenti a uno stesso spazio e tempo ne facesse emergere i tratti comuni, le ossessioni culturali, i miti che caratterizzano i momenti di tensione creatrice da cui si sviluppano le differenti tappe della storia della cultura (cf. G. D. Figures mythiques et visages de l’oeuvre). Da tale campo di ricerche nasce una delle prospettive più interessanti della mitodologia durandiana: la nozione di bacino semantico, struttura socioculturale che corrisponde al profilo di un’epoca, al suo stile, alla sua estetica e sensibilità (v. i lavori di G. D. sul Romanticismo, sul Decadentismo e soprattutto La Beauté comme présence Paraclétique pronunciato a Eranos nell’84).

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La seconda parte intitolata «Opera e messa in opera» raccoglie interventi in diversi settori della ricerca a testimonianza del carattere interdisciplinare delle teorie dell’Immaginario.

Jean-Jacques Wunenberger in un sintetico articolo traccia l’importanza del pensiero di G.D. nella storia delle scienze umane che va ben oltre Le strutture antropologiche dell’immaginario, anche se magistrali, fondatrici di una significativa corrente nel campo della critica letteraria e artistica. Dietro la classificazione in regimi e strutture delle immagini, appaiono altre dimensioni: una logica, un’assiomatica, un’epistemologia, una teoria della conoscenza e infine una bio-antropologia generale dell’Homo sapiens centrata sull’immaginazione. Sì che Gilbert Durand può essere visto come il partigiano di una epistemologia sovversiva che sconvolge i campi di ricerca tradizionale a favore di un pensiero dell’immaginazione che ingloba la totalità dell’esistenza umana.

Maria Pia Rosati, corrispondente per l’Italia dell’A.A.G.D., nel suo intervento ‘Topos e atopon’ percorre un pellegrinaggio della memoria attraverso deitopoi, luoghi fisici di incontro (Ascona in Svizera, Novery in Francia, Bougy St Martin in Svizzera) dai quali è scaturita «atopon», la rivista di psicoantropologia simbolica e tradizioni religiose ispirata dal pensiero di Gilbert Durand, fondata sotto la sua direzione, da lui presentata assieme a Julien Ries nel colloquio di Bougy St Martin in Svizzera nel 1992 e i cui numeri hanno sempre avuto come incipit i suoi articoli.

Il termine atopon vuol significare il luogo senza luogo che è in tutti i luoghi, ma mai circoscritto in essi, in quanto designa un livello antropologico altro rispetto all’esperienza quotidiana vissuta a una sola dimensione. La parola atopon che ritroviamo in Platone e in Plotino evoca il luogo senza luogo della mistica persiana, la terra di Huralya, l’ottavo clima che appartiene a una geometria spirituale in cui «i corpi si fanno spiriti e gli spiriti diventano corpi» secondo l’espressione di H. Corbin. Quando il topos, il luogo della percezione abituale si rivela insufficiente e illusorio, comincia la ricerca di un altro luogo, «atopon» un non luogo. Allora il limite diviene apertura verso un altro livello ontologico dal carattere più originario, da cui promana una nuova forza, quella dell’immaginale, che ci permette di vedere un nuovo cielo e una nuova terra. Il pellegrinaggio nei luoghi della memoria durandiana vuol essere un auspicio a che in questo terzo millennio già turbato da nuovi drammi e minacciose inquietudini la forza morale del maestro incoraggi un’umanità confusa e assetata di significato a vegliare e tenere accesa la luce dell’essenza originaria dell’Uomo.

Basarab Nicolescu, autore di Gilbert Durand et la transdisciplinarité – de Venise à Convento de Arrábida –, considera che ci sono radici immaginarie della transdisciplinarità come radici transdisciplinari dell’immaginario. Evoca l’intervento di Gilbert Durand «La scienza dell’uomo, scienza ai confini della conoscenza» presentato al Colloquio di Venezia, organizzato dall’UNESCO nel 1986 in collaborazione con la fondazione Cini. In tale occasione Durand disse: «la scienza dell’Uomo è scienza di confine. Certamente a questa affermazione si potrà sempre opporre una sorta di teorema di Gödel antropologico che argomenta che non ci può essere scienza di una nescienza, di ciò che per definizione limita e supera la Scienza. … Per la prima volta nella nostra storia le nostre scienze di punta trascinano le nostre epistemologie a revisioni spesso dilanianti e aprono la Scuola a orizzonti di altri umanesimi e ad altre saggezze che le nostre. Approfittiamone! » B. Nicolescu riferisce di essere riuscito a formulare alla fine dell’incontro di Venezia, secondo la richiesta dell’UNESCO, una dichiarazione firmata da tutti i componenti. La frase: «L’incontro inatteso e arricchente tra la scienza e le differenti tradizioni del mondo permette di pensare al sorgere di una nuova visione dell’umanità e di un nuovo razionalismo che potrebbe portare a una nuova prospettiva metafisica» era stata accettata nonostante la parola metafisica, che Durand voleva fosse assolutamente presente, alla quale l’ambasciatore russo aveva opposto un veto che Nicolescu aggirò ricorrendo alla traduzione secondo l’etimologia greca: ‘dopo la fisica’.

Citiamo gli interventi di Joël Thomas (sulla risonanza dell’immaginario collettivo della romanità, fondato sulla complementarietà dei contrari, con quello personale di Gilbert Durand) e quello di Jean-Clarence Lambert (ricorda la simultanea pubblicazione della sua raccolta di poesie Le noir de l’azur e di L’âme tigrée les pluriels de la psyché che Gilbert Durand gli inviò con una calorosa dedica e sulla cui copertina campeggiavano i colori nero e azzurro di una farfalla delle Alpi). G. D. riteneva pericolo gravissimo un pensiero monopolizzante da cui possono nascere i totalitarismi, mentre l’equilibrio sociale, la pax romana, è un gioco di istituzioni diverse; lo stesso è per la salute psichica: la vita non può essere ridotta al processo lineare orientato dall’idolo progresso in nome del quale si sta impoverendo la nostra umanità e devastando il pianeta.

Originale lo studio presentato da Tania Da Rocha Pitta (Brasile) in cui, utilizzando l’AT-9 (Test Archetipale dei 9 elementi), si cerca di comprendere le differenti modalità di abitare lo spazio, di vivere i luoghi come rassicuranti o angosciosi e di appropriarsi del genio del luogo. Si è partiti da tre contesti urbani molto diversi: Noto, città barocca della Sicilia orientale (XVIII sec.), il Quartiere cosmopolita parigino di Belleville dall’architettura ibrida di stile classico, moderno e contemporaneo e infine il Morro da Conceiçao a Recife, esempio di auto-costruzione.

I risultati della ricerca hanno mostrato come a Noto, città distrutta dal terremoto del 1963 e i cui abitanti vivono l’angoscia sotterranea di una minaccia sempre presente, l’architettura ci riporta alle strutture mistiche dell’immaginario: sono privilegiate le forme concave che invitano ad un’intimità prossima al ventre materno, ancestrale ricordo di un passato che faceva della grotta un rifugio. Le chiese, l’ombra protettrice delle loro volte aiutano a ritrovare la speranza, eufemizzano la morte: il male è bene e il bene è male, la vita è morte, la morte è vita.

Se in Sicilia l’ombra è rifugio e salvezza, diverso è l’immaginario del quartiere parigino di Belleville dove la natura non è una minaccia e il problema è quello di integrare molte nazionalità in uno spazio e in un tempo ristretti. Si cerca la luce e sono privilegiati i luoghi aperti, che creano inclusione anche attraverso lo spazio separatore, come il parco, punto di riferimento nel quartiere. L’architettura diventa complessa, crea dialogo tra differenti stili e topologie e si raggiunge l’aspetto di una metropoli dalla pluralità culturale e sociale.

Al Morro, dove l’architettura si fa senza architetti, nel ritmo delle piccole vie scoscese il dentro e il fuori sono contraddittori e collegati, così come il male e il bene, il brutto e il bello. Questi contrari valorizzano il ritmo e la trasformazione, tutto diventa complesso e plurale, ambiguo piuttosto che chiaro e ragionato.

Si comprende come ogni architettura ha un linguaggio che struttura la nostra relazione con il mondo e deve integrare nella composizione spaziale il ritmo e il ludico delle strutture sintetiche, la forma concava e accogliente delle volte, la bellezza della materia e della forma.

L’articolo di Angélique Derambure (Univ. di Nizza) su l’impronta dell’immaginario: esempi di messa in scena (Teatro Nazionale di Nizza) dimostra come l’immagine non sia proiettata come una riproduzione mentale ‘in miniatura’ della percezione ottica, secondo la teoria classica. è il mondo affettivo-rappresentativo delle idee che si diffonde nel pensiero e rende singolare il gesto creativo: è questa l’essenza dell’immaginario.

Uno studio comparativo tra l’opera di Paul Ricoeur e quella di Gilbert Durand è presentato da Annie Barthlélémy. Sia Le strutture antropologichedell’Immaginario di Durand che Finitudine e colpevolezza (II tomo di La Filosofia della Volontà) di Ricoeur mirano alla costruzione di un’antropologia in cui l’immaginario occupa un posto centrale, se non iniziale. I due autori s’incontrano, al di là delle divergenze, nel convincimento che le risorse dell’immaginario siano significative nel cammino verso la saggezza; per ambedue «l’immaginario ha una portata etica». Per ambedue i filosofi, che si conoscevano e stimavano, era centrale la riflessione sul simbolo.

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La terza «influenza irradiante» è dedicata al carattere universale e autenticamente antropologico del pensiero di Durand. Parlano l’Africa, il Brasile, la nuova Caledonia, i Caraibi.

LapreeArlette Chemaine-Degrange (Univ. di Nizza) rileva come il pensiero di Durand si iscriva a pieno nel movimento della nostra epoca in cui la poesia è riabilitata quale sostegno della ragione e la sensibilità e l’immaginazione ritrovano un ruolo creativo. Il «reincantamento verrà dai margini» aveva profetizzato G. D. in Introduction à la mythologie (1994).

Così l’immaginario, o meglio il «realismo magico» in America latina, come la profondità dell’apparenza, tengono vivo lo spirito di rivolta in sinergia con la riconquista di un’identità originale.

Nella letteratura insulare dei Caraibi, fa notare Marc Gastaldi (Univ. Nizza/Parigi), si sente forte la presenza di un immaginario vicino a quello che G. D. chiama «regime notturno» nato dall’eredità della Storia repressa delle popolazioni africane ridotte in schiavitù, ma che ha continuato a vivere nei riti, le tradizioni, le leggende e si è rifugiata nell’oralità per affermarsi poi nella letteratura scritta per raccontare una storia sotterranea nata nel «ventre matriciale delle navi negriere», continuata nell’inferno delle piantagioni.

Intenso anche il rapporto e la reciproca influenza tra Gilbert Durand e il Brasile, ‘l’impero dell’immaginario’, terra multitopica, che vive il momento più propizio agli studi sull’immaginario. E a sua volta, come ricorda Danielle Perin Rocha Pitta, lo stesso Durand nel ’93 constatava che proprio il Brasile «di tutti i santi», di tutti i meticciati trasforma i pensatori francesi che vi soggiornano.

Ugualmente la scrittura letteraria francofona in Africa, legata all’impegno nel momento del difficile passaggio dell’uscita dell’epoca coloniale, trova ricchezza e fecondità integrando il realismo magico alla ricchezza dell’oralità. Sensibilità e immaginazione ispirano e danno efficacia alle parole di rivolta.

G .Durand. ha saputo scuotere le convinzioni stantie e, alla soglia del XXI sec., ha preparato l’ascesa a nuove tendenze sostenendo che l’irradiarsi di differenti discipline, il mosaico virtuale si oppone alla xenofobia. Numerosi lavori consacrati al reincantamento delle letterature francofone testimoniano l’evoluzione letteraria stimolata dalla recezione della sua convinzione che la coesistenza e l’unione si fondi sul superamento dei contrari. L.S. Senghor, il presidente poeta, aveva privilegiato la ragione intuitiva a quella discorsiva e rivalutato sensibilità ed emozione, proprie della cultura africana. La continuità e il legame con le proprie radici rendono credibile il rinnovamento. Integrando le colture tradizionali e il loro immaginario (cf. G.D. nella prefazione a Immaginari Francofoni) la letteratura africana esofona ha vinto il suo isolamento e la letteratura impegnata ha potuto conoscere una irradiazione significativa.

Rodah Sechele-Nthpelelang (Univ. Nice/Gaboro, Botsawana) afferma che la scrittura africana al femminile vive l’ambizione ascensionale propria del regime diurno (eroico) dell’immaginario. La donna africana battuta, oppressa, mal rappresentata dalla notte dei tempi scrive ‘per raddrizzare la sua immagine’. I romanzi invitano in un mondo in cui tutto si dice attraverso il linguaggio, come attraverso l’immagine. Ma, diceva Gaston Bachelard, l’appartenenza al mondo delle immagini è più forte dell’appartenenza al mondo delle idee. E l’atto di alzarsi o la posizione in piedi rivela in queste opere l’ambizione di guadagnare un posto, una voce, un’identità.

Il convegno si chiude con il discorso di Yves Durand (allievo e poi amico e collaboratore di Gilbert): Riflessioni sulla creazione immaginaria.

La conferenza tenuta da G.D. a Eranos nel 1982 –Il genio del luogo e le ore propizie– era fondata sulla costatazione della dissociazione culturale dell’universo del senso nel nostro Occidente. Tuttavia, al di là dell’enunciato introduttivo G.D., mostra che « nell’arco di Eranos dopo 50 anni 130 sapienti di tutte le tradizioni culturali si sono riuniti col proposito di smentire la lacerazione occidentale».

Rifacendosi a quella conferenza (da cui è nato il tema proposto da Y. D. del convegno celebrativo di G. D.) Y.D. sottolinea come Durand proponga

  • da una parte una concezione mitica del tempo e la superiorità di un tempo immaginario rispetto al tempo delle date; la temporalità diviene segno di individuazione e «ogni individuo segna il suo tempo piuttosto che esserne segnato dal ferro incandescente del divenire causale»
  • dall’altra una definizione dello spazio concepito secondo un modo potenziale. Spazio costituito da luoghi essenzialmente qualificativi, configurato da aree di significato simbolico e non da superfici o volumi, o linee e punti
  • e in sintesi una riunificazione dello spazio nella forma topica e del tempo nella forma neghentropica.

Eranos dunque sarebbe la prova della possibilità di un luogo mitico, frutto della genialità dei sapienti riunitisi per tanti anni, e «testimoniata dal nostro Presente» come ebbe a dire G.D.

All’approccio soggettivo (individuale, simbolico, mitico) Y.D. vuole aggiungere una prospettiva oggettiva al fine di contribuire a conclusioni complementari, basandosi sulla sperimentazione dell’AT-9 (Test archetipale dei 9 elementi) da lui creato sul quadro teorico di Le strutture Antropologiche dell’Immaginario e applicato alla creatività immaginaria in atto.

Lo studio dell’immaginario dello spazio nel modello AT-9 è alimentato da due fonti. Una quantitativa che proviene dalle innumerevoli produzioni immaginarie che offrono ai ricercatori banche di dati necessarie per verificare le ipotesi secondo un approccio scientifico, l’altra qualitativa che suggerisce una descrizione diagrammatica dei documenti. Tale prospettiva è conforme alle intenzioni metodologiche di G. D. che riteneva non si possa studiare una situazione antropologica relativa allo spazio, se non in una prospettiva in cui l’oggetto è a sua volta soggetto. E ancora una volta si rivela importante la convergenza tra un approccio altamente filosofico e un cammino scrupolosamente sperimentale.

Vogliamo completare il quadro della diffusione del pensiero antropologico di G.D. citando il testo a cura di Raimond Laprée e Christian R. Bellehumeur L’imaginaire durandien, enracinements et envols en terre d’Amérique la prima opera collettiva pubblicata in onore di Gilbert Durand ad un anno esatto della conclusione della sua lunga giornata terrena. Gli autori ci hanno mostrato come anche in ‘terra d’America’, e soprattutto nell’America del Nord, terra che sembrerebbe dominata dal pragmatismo e non troppo recettiva all’immaginario, nonostante la difficoltà dovuta alla scarsa diffusione della cultura classica, esistono giardini (vere oasi) in cui appassionati giardinieri si dedicano al compito di far fiorire l’antropologia dell’immaginario, la mitoanalisi, la mitodologia.

L’opera è articolata in varie sezioni.

La sezione 1, grazie all’importante contributo di Jean-Jacques Wunenburger. presenta una sintesi del pensiero di G.D che nell’arco di circa quarant’anni (1960-2000) ha abbracciato in un crogiolo genialmente creativo “ipotesi e tesi sull’attività immaginativa della specie umana. L’uomo di cui D. disegna la fisionomia è quello descritto dalle scienze tradizionali ed esoteriche, dalle gnosi di ogni religione e ancora dalle società africane, indiane e cinesi. Risalta la forza euristica e la dimensione avanguardista del suo pensiero spesso offuscata dalle ideologie dominanti con le quali si è sempre confrontato. Così, quasi senza rumore, è iniziata una rivoluzione epistemologica che ha rovesciato i fondamenti dell’antropologia moderna e ha fondato sulla scienza dell’immaginario e della creatività una nuova teoria generale della cultura e i prolegomeni di un’unica ‘scienza umana’.

Le sezioni 2 e 3 sono dedicati alla recezione dell’opera di G. D. nei paesi del Sol levante (v. relazione di Chao Durand Sun), agli studi comparativi con il pensiero cinese (v. Anna Ghiglione).

La sezione 4 testimonia le differenti strade alle quali ha portato il pensiero di G.D. La trans-disciplinarità è il tema trattato da D. Proulx a cui fanno eco gli studi di Hamid Nedjat sull’universo mitico dell’Islam iranico che H. Corbin ha rivelato all’occidente, e di D. Perin Rocha Pitta sui riti del candomblé brasiliano. Viene dato spazio anche allo scenario mitico nella letteratura del Québec (M. Tremblay) e alla dominanza delle immagini archetipali colte attraverso l’arte fotografica nell’ambito della moda (N. Esfahani).

Nella sezione 5 si mostra come il pensiero durandiano accompagni la ricerca sociologica a scrutare più profondamente gli immaginari collettivi (G. Bouchard).

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